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Gli adolescenti sono responsabili?




a cura di Marta Livio

Abstract: nell'esperienza degli Sportelli d'ascolto psicologico  condotti in alcune scuole medie di Torino ci si interroga su quale ruolo ha la responsabilità e come fare per accrescerla; e su quali strumenti  lo psicologo ha per aiutare le famiglie e gli educatori a rispondere nel miglior modo possibile alle aspettative dei ragazzi.


Nella lunga esperienza di gestione e conduzione di Sportelli d'ascolto in alcune scuole di Torino spesso si è presentato il tema della “poca responsabilità” dei ragazzi. Questo tema spesso portato da genitori, educatori ed insegnanti credo sia da approfondire e possa darci alcune indicazioni sulla trasformazione della percezione del disagio tra i giovani. Infatti se questo corrisponde ad una lamentela comune forse ci si dovrebbe chiedere, prima di tutto, noi come educatori, come genitori quale modello di responsabilità possiamo oggi passare ai ragazzi.
Partendo dalla considerazione che il mancato senso di responsabilità sia dei giovani che delle loro famiglie sia un sintomo di debolezza e fragilità o, comunque, di disagio e non, come spesso viene detto, di menefreghismo e poca considerazione dell'altro, si possono fare alcune riflessioni e considerazioni. Nell'esperienza di sportello d'ascolto ho notato come nelle famiglie talvolta vi sia una difficoltà a prendersi carico di progetti complessi e che durino nel tempo. Com'è spesso evidente la necessità della quotidianità spesso prende il sopravvento su valori e pensieri degli stessi genitori. D'altronde siamo consapevoli delle difficoltà a cui i genitori vanno incontro nel prendersi cura dei loro figli. Quindi si evidenzia la difficoltà dei genitori stessi nel  trasmettere il valore della responsabilità intesa, in senso lato,  come la capacità di portare a termine un progetto, tenendo conto che tale progetto non comprende solo noi come individui ma che è inserito in una rete complessa di aspettative e altrui progetti.
Come genitori c'è la percezione di vivere sempre nell'emergenza, di non avere spazi e momenti di confronto, anche se vi sono diverse opportunità in città e come se non ci fosse uno spazio di pensiero per potervi accedere. Le emergenze quotidiane l'ansia di non farcela, lo sfinimento del seguire i figli di aiutarli nei compiti, di accompagnarli nelle attività prende spesso il sopravvento. D'altro canto gli educatori, i professori e le altre figure di riferimento spesso delegano ad altre figure di riferimento responsabilità nelle decisioni. Come psicologi e quindi “tecnici” (questa è la percezione che spesso si ha di noi all'interno dell'istituzione) ci vengono rivolte domande volte non a trovare soluzioni condivise, ma a prendersi carico e quindi la responsabilità di alcune scelte. Talvolta la richiesta non è quella di sostenere il ragazzo, il genitore o il docente nella scelta trovando delle strategie comuni e condivisibili, ma quella di prendersi un “carico” dell'aspetto emotivo, che si fa fatica a vedere e quindi a con-tenere. Ricordo un ragazzo che si presentò allo sportello disorientato per la scelta delle superiori.  E mi preme ricordare che sull'orientamento vi sono molti progetti attivi sia locali che cittadini. Questo ragazzo, che chiameremo Marco, avrebbe voluto fare un liceo. Al test di orientamento era risultato idoneo, ma la famiglia avrebbe desiderato che lui facesse una scuola che lo indirizzasse verso una professione, essendo un momento di “crisi” e avendo paura per il futuro del figlio, ma non volendo imporsi con Marco disse a Marco di chiedere ai professori. I professori con cui peraltro parlai anch'io non erano sicuri che il liceo fosse adatto per lui, ma nello stesso tempo siccome vedevano una forte motivazione e non volendo deluderlo chiesero a Marco stesso di decidere. Nessuno pareva volersi prendere la responsabilità di una scelta qualunque essa fosse e Marco disorientato sentiva un'enorme responsabilità che a 13 anni, peraltro appena compiuti, era difficile tollerare. Questo per dire che spesso ci si aspettano scelte responsabili che noi stessi come adulti di riferimento non siamo capaci di fare forse perchè non troviamo uno spazio di pensiero sufficientemente accogliente per fare delle scelte sicuramente difficili, ma non impossibili.


Qui è necessario citare un panorama più ampio che vede nell'adolescenza il momento in cui la proiezione nel futuro è più debole e deve essere quindi supportata da adulti in grado di  comprendere e incoraggiare. L'incoraggiamento, atteggiamento dato per scontato, ma non sempre applicato, diventa una possibilità di influire positivamente sullo sviluppo e la crescita incrementando autostima e autodeterminazione (Il processo di incoraggiamento Don Dinkmeyer, Rudolf Dreikurs). Inoltre come  dicono Benasayang e Schmith nel bel libro L'epoca delle passioni tristi, "I govani non hanno mai conosciuto quel famoso mondo pieno di promesse di cui sognavano le generazioni precedenti, sono figli di un futuro gravido di minacce” . D'altronde i due autori sottolineano come la vita quotidiana che accomuna adolescenti e adulti porti a continui “attacchi contro i legami” che si trasformano in continui agiti. Atti cioè che non possono avere uno spazio di pensiero e che quindi vengono agiti appunto. E' necessario, in breve che l'adulto si riappropri del proprio spazio di pensiero dove costruire e co-costruire con figli/alievi un senso e una realtà che veda nei confini e nei ruoli di ciascuno il giusto compimento. Individuando risorse e possibilità (che come è noto nell'adolescenza hanno il loro picco massimo)e incoraggiando lo sviluppo di queste possiamo incrementare resilienze sia nelle famiglie che nelle istituzioni che, in ultima analisi nei ragazzi stessi.


Marta Livio