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Lo sviluppo delle capacità progettuali

A cura di Elisabetta Gabriele
Nell'articolo "Le capacità progettuali" si è cercato di mettere in luce alcuni aspetti della progettualità partendo dalla capacità di rappresentarsi il futuro, prendendo in analisi la dimensione temporale per poi giungere ad una prima definizione delle capacità progettuali. 
In questo aricolo verrà proposta una teoria dello sviluppo delle capacità progettuali, intese all'interno della dimensione immaginale (vale a dire progettuale) dell'esperienza umana individuale.

 


Attraverso l'esame dei progetti personali è possibile accedere direttamente al rapporto tra individuo e società: le aspettative e i progetti si basano su relazioni instaurate o da instaurare con altre persone e sulla condivisione di determinate norme sociali che portano all'elaborazione di scopi e scambi socialmente condivisi. Il processo che conduce alla rappresentazione di oggetti distanti nel tempo e, quindi, alla configurazione delle aspettative future coincide con il processo di socializzazione. Esso ha inizio fin dall'infanzia, e con esso la possibilità di figurarsi mentalmente la dimensione futura, ancorché sia coglibile fin dai primissimi contatti che il bambino instaura con l'ambiente, si articola in varie fasi di sviluppo cognitivo ed emotivo (Ricci Bitti, 1992).


Per comprendere questo aspetto dello sviluppo si farà riferimento alla teoria dei ruoli-progetto proposta da Gasca (1995; 2003) all'interno della quale l'autore delinea le varie fasi attraverso cui l'individuo raggiunge la propria individuazione. In particolare si descriverà il percorso di sviluppo della dimensione progettuale denominata dimensione immaginale. La teoria dei ruoli-progetto considera il ruolo come avente tre dimensioni: una sociale (data dall'insieme di funzioni, qualifiche, obblighi, ecc.), una dimensione somatica (che informa sui modi di rapportarsi al proprio corpo) ed infine una dimensione legata ai possibili significati simbolici, alle idee e prospettive diverse.

I ruoli-progetto hanno la funzione di organizzatori delle attività di ciascun soggetto e del senso che, di conseguenza, assumono il mondo fisico (dimensione somatica), la cultura e le relazioni (dimensione sociale). Le possibilità che il soggetto si rappresenta nella mente (dimensione immaginale) collegano questi ambiti situandosi nella loro intersezione.

Nella teoria dei ruoli progetto, il ruolo, col suo appartenere contemporaneamente a più sistemi e modelli relazionali, quindi col suo essere parte di più visioni e progetti possibili, funge da ponte, da fulcro e da catalizzatore per nuove aperture e per una sintesi di essi. La dimensione sociale del ruolo è quella che permette a tutti di comprendersi reciprocamente ed a ciascuno di corrispondere alle aspettative altrui. In questo senso alla dimensione sociale del ruolo si contrappone la dimensione immaginale: la dimensione della possibilità, che si realizza attraverso lo sperimentare al proprio interno nuovi punti di vista, connessioni e significati.

L'immaginale nella teoria dei ruoli-progetto ha una duplice origine:

1. Fin dai primi momenti di vita il neonato manifesta interesse e curiosità ad esplorare il mondo esterno (Neisser, 1976). Come è noto (Piaget, 1945), il caos iniziale di quadri sensoriali sovrapposti che sommerge il neonato acquista un ordine ed un senso attraverso lo strutturarsi ed il sistematizzarsi delle funzioni dei diversi organi ed apparati: i cosiddetti oggetti permanenti si vengono a costituire come immagini pre-viste, cioè esistenti anche al di fuori dell'immediata percezione, in quanto costituiscono elementi costanti capaci di saturare adeguatamente le ipotesi formulate in un progetto. La maggior capacità di usare le proprie rappresentazioni permette all'uomo non solo di dissociare un oggetto (o un proprio gesto) dal contesto reale, per raffigurarselo in un contesto ipotetico, ma anche di utilizzare un oggetto come segno di un altro oggetto come avviene nel gioco simbolico (Piaget, 1945). Ciò attraverso successivi livelli di complicazione permette di costruire veri e propri mondi virtuali, via via svincolati dai fatti concreti che ci stanno dinnanzi, dalle regole e magari anche dalle meta-regole da noi conosciute in precedenza. Ma tutto ciò, lungi dal mirare alla soddisfazione di un desiderio, mira ad una ricerca di nuove possibilità e significati.


La capacità di ritrovare e conservare dati costanti in quadri sensoriali che si succedono caoticamente, attraverso le prime operazioni motorie, costituisce la base per i primi modelli percettivo-motori e la prima mappa del mondo esterno. I modelli percettivo-motori corrispondono a dei proto-ruoli-progetto dai quali durante lo sviluppo nascerà il Sé. I rapporti interpersonali, fin dall'inizio con la madre e più avanti con altri adulti significativi, si svolgono attraverso elementi di interazione significativi ed espressivi (non quindi solo l'abbraccio e la nutrizione) che contengono cioè messaggi provenienti da aspettative ed intenzionalità differenziate che incontreranno i proto-ruoli somatici, sociali e immaginali del bambino. E' come se, emergendo ora l'uno, ora l'altro frammento di un codice, questo a poco a poco si organizzasse nella mente del bambino in una struttura coerente, che rappresenta un complesso mondo di progettualità, costituito da ruoli complementari tra loro.

Quindi non solo più tardi, con l'intervento della figura paterna, ma già le aspettative della madre (in quanto individuo con in sé un mondo di ruoli interni e non solo seno e affetto) suggeriscono ruoli attuali (da bambino e da figlio) e futuri e contengono un progetto di esistenza. Da questo primo nucleo attraverso l'appropriarsi dei ruoli e il distinguersi da essi può partire l'individuazione: secondo la teoria dei ruoli-progetto, quindi, la matrice di identità e la matrice familiare sono in interazione reciproca e con la matrice socioculturale.

2. Il momento in cui, quindi, la funzione immaginale si esprime in tutta la sua complessità è quando l'individuo se ne serve per rapportarsi agli altri. I ruoli, inizialmente limitati alla dimensione somatica (bambino che mangia, che dorme, che gira la testa in direzione di uno stimolo acustico) si arricchiscono, insieme alla dimensione sociale, di quella immaginale nel relazionarsi con l'Altro.

La prima manifestazione osservabile di tale evento è stata descritta da Spitz (1960) come fase del sorriso: il neonato in essa sorride non ad un oggetto raffigurante un sorriso, ma a un qualcuno che intenzionalmente sorride a lui che gli sorride. Si ha cioè l'incontro di due progettualità, ciascuna delle quali trae senso proprio dall'incontrarsi e riconoscersi nell'altro. Il bambino comprende così l'intenzionalità dell'Altro attraverso un processo di assimilazione proiettiva attribuendo all'Altro quell'intenzione che lui stesso avrebbe se facesse la stessa cosa.

Inizialmente per mettersi al posto dell'altro può essere necessario – come per altro spesso il bambino fa nel gioco – imitarlo almeno in qualche gesto o nella mimica, immaginando quel che si penserebbe se si fosse lui – successivamente sarà sufficiente eseguire tale procedimento nello spazio ipotetico del proprio mondo interiore, costruendo per così dire e facendo agire in tale spazio la sua immagine.

Nel fare ciò il bambino (rispondendo con crescente complessità alla complessità dell'agire intenzionale di coloro che incontra) accomoderà i propri modelli interiori al mondo circostante estrapolando, dai suoi modi di agire, progetti reali o potenziali che abbiano affinità con quelli di coloro che via via incontra. Costruirà così dei ruoli interni, distinti dai ruoli che agisce nel mondo esterno, sempre più differenziati ed articolati; questi ruoli interni acquisteranno (quasi fossero personaggi dotati di vita propria) una sorta di autonomia nella mente che li ha originati e popoleranno le fantasie creative. Tali ruoli interni, dall'originaria funzione di renderci capaci di intuire empaticamente ciò che provano gli Altri che incontriamo, assumono in seguito quella di centri organizzatori di sentimenti, impulsi, vissuti e rappresentazioni non integrate nella coscienza.

E' noto che i bambini amano ripetere più volte la stessa storia come a cercarne un diverso finale che offra un significato di apertura, veramente altro, proiettato verso il futuro. I bambini lo fanno anche nella vita, facendosi raccontare sempre la stessa storia o riproducendola nei giochi; una certa storia li rappresenta, è cioè l'immagine simbolica che parla della loro vita personale.

Il pensiero verbale-concettuale (o meglio quel complesso di operazioni mentali proprie del cervello sinistro che potremmo definire digitali) svolge il compito di integrare e coordinare, riferendole ad un'immagine coerente di sé, la molteplicità di rappresentazioni e spunti progettuali che anima il mondo interiore. Nel bambino il pensiero verbale-digitale svolge tale compito in maniera incompleta, fino a che le capacità di astrazione non si sono adeguatamente sviluppate, il pensiero analogico lavora invece a sviluppare o ricercare una matrice da cui emerga un principio di ordine nel caos.

Se l'altro particolare è necessario per rappresentarsi il proprio ruolo in relazione ad un ruolo complementare specifico, l'altro generalizzato
(Mead, 1934) che ne deriva permette un'immagine stabile del Sé che trascende gli aspetti particolari delle proprie esperienze con i genitori e lo porta ad inserirsi nella realtà globale. L'altro significativo, che comporta una scelta e una definizione tra i diversi aspetti degli altri incontrati, è il fondamento per una scelta di valori e per una continuità del Sé come meta-ruolo che, integrando i singoli ruoli o Sé parziali, si struttura in un progetto di vita.

Infine dalla relativizzazione e dal superamento dell'altro significativo si giunge all'altro denominato “altro senza qualità” cioè la funzione che rende capaci, astraendo da ogni specifica caratteristica degli altri incontrati nella precedente esperienza, di porsi come altri rispetto a se stessi e di guardarsi dal di fuori. Questo momento del percorso di sviluppo che viene denominato “individuazione” (Jung, 1921; Hillman, 1975; Ardone; 1999; Nicolini, 1999) implica, appunto, la capacità di riconoscersi come persone differenziate dagli altri, con le proprie peculiari caratteristiche identificabili nei diversi ruoli-Sè possibili, ora integrati in un'unica identità. Tale capacità consente di superare, quindi, la confusione e l'incertezza circa le proprie scelte di vita e l'elaborazione e realizzazione dei propri progetti.

BIBLIOGRAFIA

Ardone, R., (1999) (a cura di). Adolescenti e generazioni adulte. Percorsi relazionali nel contesto familiare e scolastico. Edizioni Unicopli, Milano.

Gabriele, E., (2005). Il ruolo dell'insegnante nello sviluppo delle capacità progettuali degli adolescenti (Tesi di laurea). Università degli Studi di Torino. Facoltà di Psicologia.

Gasca, G., (1995). La dimensione immaginale della psiche e le sue applicazioni allo psicodramma. In Psicodramma Analitico, n.4.

Gasca, G., (2003) (a cura di). Psicodramma analitico. Punto d'incontro di metodologie psicoterapeutiche. Franco Angeli, Milano.

Hillman, (1975). Re-Visioning Psychology. Harper, New York (Trad.It. Re-visione della psicologia. Adelphi, Milano).

Jung, C.G., (1921). Psychologische Typen. Rascher Verlag, Zurich (Trad.It. Tipi psicologici. Boringhieri, Torino).

Lewin, K., (1951). Field theory in social science. Harper & Row, New York. (Trad. It. Teoria e sperimentazione in psicologia sociale. Il Mulino, Bologna).

Mead, G.H., (1934). Mind, self and society. University of Chicago Press, Chicago. (Trad. It. Mente, Sé e Società. Universitaria, Firenze).

Neisser, U., (1976). Conoscenza e realtà. Il Mulino, Bologna.

Nicolini, P., (1999). Che pensi di te stesso? Le autopresentazioni degli adolescenti. Franco Angeli, Milano.

Nuttin, J., (1980). Thèorie de la motivation humaine. Du besoine au projet d'action. Presses Universitaires de France, Paris (Trad.It. Teoria della motivazione umana. Dal bisogno alla progettazione. Armando Editore, Roma).

Piaget, J., (1945). La formazione del simbolo nel bambino. La Nuova Italia, Firenze.

Ricci Bitti, P.E., Caterina, R. (1992). Elementi di cambiamento nell'esperienza temporale di adolescenti e giovani. In Rivista di Psicologia, 77.

Spitz, R., (1960). Il primo anno di vita del bambino. Giunti e Barbera, Firenze.