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Il genogramma paesaggio: intervista a Chantal Neve Hanquet



Abstract: Nell'articolo si sottolinea l'importanza del transgenerazionale come fonte di cambiamento. La prospettiva qui presentata e in particolare la tecnica del genogramma paesaggio evidenzia come l'atto creativo costituisca un mezzo importante per affrontare nodi e problematiche trasmesse attraverso le generazioni. Viene inoltre sottolineata l'importanza del gruppo e di alcune tecniche specifiche come lo psicodramma che si avvale del gruppo come possibilità di elaborazione di dinamiche inconscie.
  




A cura di Marta Livio


 «Non c'è solo l'urgenza del trasmettere: c'è anche quella di interrompere una trasmissione» così inizia il capitolo di Kaes (1995, p.24; ed.orig.1993). intitolato: «La necessità del trasmettere e la violenza dell'ereditarietà». Il tema del trans generazionale è, in realtà, un tema che è trasversale a tutta la psiologia del profondo. La formazione di un'identità individuale infatti passa necessariamente attraverso le relazioni che il bambino ha con il mondo, sia nella fase post natale sia in quella intrauterina. Ma la nascita del bambino avviene ancora prima del suo stesso concepimento nella mente dei genitori, ed essi, sia biologici che non, portano una loro identità formatasi in altri gruppi, così che il bambino al momento della nascita è già inserito in una storia familiare complessa e articolata. La nascita dell'identità viene quindi inserita in un paradigma biologico, antropologico e storico (transgenerazionale) più che in un'unica relazione diadica madre-bambino seppur molto significativa. É importante, quindi, cercare nella relazione con l'Altro o, meglio con gli Altri, ciò che è passato come profondamente identitario: quello che ha permesso un passaggio tra le generazioni di elementi e parti antiche proiettate sulle generazioni future. Tale passaggio crea una catena tra le generazioni che può essere vissuta o come una rete complessa o come un vero e proprio giogo.

Mi è rimasto impresso il nome di una paziente con una storia difficile di adozioni che, in un Centro Diurno Psichiatrico dove lavoravo, si faceva chiamare, anzi era convinta di chiamarsi, ed era riuscita a convincere anche il funzionario comunale a scriverlo sulla carta di identità: Spezza Catene. Così come un'altra paziente, sempre con una storia di adozione, vergognandosi del nome che portava –Catena- si faceva chiamare Caterina. Questo è solo un esempio che mette in luce come, a volte, il tentativo di interrompere una trasmissione profonda possa, poi, portare a grosse difficoltà nell'affrontare il proprio futuro in modo autonomo e consapevole. Se, infatti, non possiamo scegliere il nostro passato e la nostra eredità, l'unica possibilità che si ha è quella di inserirla in un contesto più ampio e di capirne le ragioni profonde. Il cercare di dimenticare o di modificare ciò che è passato non può che portare ad ulteriori fratture difficilmente sanabili.      

Una prospettiva interessante è quella scaturita dall'incontro di Chantal Neve Hanquet, psicodrammatista e psicanalista junghiana, e Jacques Pluymaekers, psicologo e psicoterapeuta familiare. Questi due Autori hanno elaborato un modo particolare di analizzare le storie familiari che tiene conto sia dello studio del genogramma nel campo della terapia familiare sia dello psicodramma come tecnica d'azione. Tale tecnica viene da loro denominata il genogramma paesaggio. L'uso del genogramma ha, in realtà, le sue radici nella psicologia familiare e sistemica in paricolare Bowen, (1979, p.86-87) usò per primo il genogramma per distinguere, nella famiglia, i vari gradi di differenziazione del sé dal magma familiare. In questo senso, il genogramma è volto ad indagare, nelle varie generazioni, le costanti e i cambiamenti dei gradi di differenziazione delle famiglie e dei singoli membri. Ricostruire un genogramma non è semplice, dato che, come fa notare lo stesso Bowen (Kerr, Bowen, 1990, p.245; ed.orig. 1988) ogni famiglia nucleare è il prodotto di 62 famiglie nucleari nelle 5 generazioni precedenti e di 1000 famiglie nucleari delle 9 che la precedono. A guidare tale complessità, secondo Bowen, non è il caso. Al contrario egli è convinto che «le differenze individuali di funzionamento e le tendenze multigenerazionali di funzionamento riflettano un processo relazionale ordinato e prevedibile che collega il funzionamento dei membri della famiglia attraverso le generazioni. Questo processo è definito processo emotivo multigenerazionale o processo di trasmissione multigenerazionale»( Kerr, Bowen, 1990, p.244; ed.orig1988). Così Andolfi ritrae Bowen (Andolfi 2002, p. 30) in un articolo intitolato «La family system Teory di Murray Bowen»:«A Wowerly, sperduto borgo del Tennensee (15.000 abitanti) la famiglia del nonno materno di Bowen gestiva numerose attività, delle quali la più importante era sicuramente un “Funeral Parlour” cioè un'impresa di pompe funebri, poi ereditata dal genero (il papà di Bowen) e dallo zio materno. Come Frank Pittman (anche lui figlio di impresari di pompe funebri) dice che i funerali servono per imparare a fare i genogrammi, così sai come assegnare i posti ai parenti per la cerimonia nella cappella». E commentando il lavoro di Bowen, Andolfi (2002, p.38) continua: «Tornare indietro non ha solo un effetto riconciliatorio tra una generazione e l'altra, ma permette a chi lo sperimenta di andare avanti nei propri rapporti più significativi con una diversa e più matura realizzazione del proprio sé».   Chantal Neve Hanque e Pluymaekers non intendono, con il genogramma, restituire una ricostruzione oggettiva delle generazioni precedenti volta a raccogliere informazioni sulla famiglia del paziente. Ma cercano di operare una ricostruzione soggettiva che vada a indagare quali messaggi sono stati trasmessi dagli antenati e in quale modo un soggetto li ha potuti reinterpretare all'interno delle proprie esperienze. L'interesse, quindi, nel ricostruire un genogramma non è quello di stabilire delle costanti tra le generazioni, definendone oggettivamente i gradi di differenziazione, ma individuare soggettivamente e analiticamente la percezione che si ha di sé e, quindi, della propria famiglia.
Gli Autori propongono un metodo di lavoro originale, applicabile sia ai gruppi di formazione sia a gruppi terapeutici o, in certi casi, in terapia familiare. In un intervista che Chantal Neve Hanquet mi ha rilasciato e che riporto qui di seguito integralmente si evidenziano aspetti teorici e metodologici di tale tecnica.   Il genogramma paesaggio, come ben emerge dall'intervista, è, infatti, frutto di una felice sintesi tra teorie differenti: lo psicodramma, la teoria junghiana e la scuola sistemica. L'intervista si è svolta per telefono con l'ausilio di una traduttrice, in seguito a un lungo e articolato scambio di e-mail. Ho, infatti, contattato Chantal Neve Hanquet dopo aver partecipato ad un workshop tenutosi alla COIRAG di Torino dove avevo sperimentato in prima persona la tecnica del genogramma paesaggio. L'idea era di sottoporle alcune domande via e-mail, ma, infine abbiamo entrambe preferito il telefono che permetteva, se non di vederci direttamente, almeno di avere uno scambio più diretto.


INTERVISTA A CHANTAL NEVE HANQUET Traduzione a cura di Cristiana Bartolini.    
Da dove nasce l'idea del genogramma paesaggio. Dall'esperienza clinica o da un'idea teorica?   Nasce dall'esperienza clinica. Quando ho cominciato il lavoro di terapia familiare e, soprattutto, di formazione per giovani terapeuti, per me era molto importante dare l'occasione agli studenti di fare un lavoro su di loro e sulla loro storia personale. Abbiamo, quindi, sfruttato le competenze del mio collega Pluymaekers e le mie per creare un approccio che fosse complementare. Pluymaekers. è uno psicoterapeuta familiare e io sono una psicoterapeuta junghiana e una psicodrammatista. Quando ci siamo incontrati ci è venuta l'idea di chiedere agli studenti la loro storia familiare, e di porre questa domanda in modo creativo. Così è nato il genogramma paesaggio.  
Come si possono coniugare le tre scuole di pensiero quella sistemica, quella psicodrammatica e la scuola junghiana che sono un approccio interessante e innovativo?     Sono stata io a volerlo perché questa è la mia storia. La mia prima formazione è lo psicodramma, io credo molto nel valore del “mettere in scena”. Negli anni settanta molti terapeuti che facevano il lavoro di gruppo erano già analisti. Poiché io ero in analisi ho chiesto di far parte di un associazione di analisti per approfondire questa dimensione. La scuola a cui mi sono rivolta non era propriamente junghiana, ma aveva un orientamento vicino a quello junghiano. Nel 1975 entrai a far parte della scuola junghiana. Ho scelto tale orientamento perché l'amico psicodrammatista con cui animavo il mio gruppo di psicodramma era freudiano. In quel momento credevo che il gruppo avesse bisogno di più punti di vista. Ma non è solo per questo. E' soprattutto perché Jung ha un'apertura sul “divenire dell'uomo” e questo corrisponde a qualcosa che è, profondamente, parte del mio modo di pensare e che ho messo in pratica anche nella mia vita. Intendo dire che penso che ogni essere umano abbia in sé le competenze per andare il più lontano possibile; che ciascuno abbia in sé enormi potenzialità. Penso, inoltre, che il genogramma paesaggio abbia queste caratteristiche, ossia far sì che attraverso la propria storia si ritrovino le competenze e le energie per poter uscire dai problemi che uno affronta. Quindi, la mia formazione è junghiana, ma ho anche una formazione in psicodramma, posso fare supervisione e formazione. Quando Pluymaekers decise di impegnarsi per aprire una scuola sistemica in Belgio conoscendo le mie competenze mi chiese di raggiungerlo come formatrice. Questo perché apprezza le mie capacità cliniche e di psicodrammatista. Il suo intento era quello di utilizzare le mie competenze con un orientamento sistemico. In un primo periodo facemmo un lavoro su noi stessi e sulle nostre famiglie. Quindi abbiamo prima sperimentato la tecnica su noi stessi e poi l'abbiamo proposta a gruppi di studenti Ed è così che ho acquisito i concetti sistemici “sul campo”. Sono una persona che ha bisogno prima di sperimentare e solo, dopo, posso teorizzare delle cose che però prima ho vissuto. Infatti, ho iniziato a fare la psicologa a trentadue anni prima ho sperimentato lo psicodramma su di me, poi ho fatto l'analisi personale e dopo sono andata all'università a studiare psicologia. Ho, però, anche una formazione per insegnare geografia.  
Si può applicare il genogramma paesaggio anche a pazienti psicotici?   Sì, ma io non ho l'esperienza. Io ho fatto esperienza con pazienti psicotici che ricevo per delle consulenze. Ma non ho esperienza con schizofrenici o pazienti ricoverati. Ho fatto qualche seduta con una donna che aveva problemi di autolesionismo e si trovava in ospedale. Ma, a un certo punto, la terapia individuale per questa paziente era troppo dura perché potessi mantenere una relazione con lei e quindi ha smesso. Però, con questa paziente non utilizzavo lo psicodramma, ma il disegno. Perché in gruppo utilizzo lo psicodramma, ma in individuale adopero, invece, il disegno. Prima faccio fare il disegno e poi lavoro su una rilettura di quello che è stato disegnato senza, necessariamente, associarvi lo psicodramma, a volte sì, però.  
In quale momento della terapia lei utilizza il genogramma paesaggio?   Il consiglio è di non fare mai lo studio del genogramma troppo presto. Per esempio, nel lavoro con le famiglie che, di solito, non è un lavoro di lunghissima durata, si suggerisce di utilizzare il genogramma dopo almeno quattro o cinque sedute. Nel momento in cui si ha già un'ipotesi sulla storia familiare; nel momento in cui, cioè, la domanda della coppia o della famiglia riguarda proprio la necessità di rintracciare i legami con le generazioni passate. Vale a dire che tutto il percorso di analisi è un processo e noi, come terapeuti, non possiamo accelerare questo processo, ma dobbiamo assecondarlo. Perché il nostro è un lavoro analitico non anamnestico. Eccezionalmente, però, ci sono delle persone che sanno che io lavoro sul transgenerazionale e, quindi, vengono specificatamente a consultarmi per tale ragione e, spesso, sono già appoggiati da un altro terapeuta che fa il lavoro principale. Con queste persone, alcune volte alla seconda seduta chiedo loro di presentare il genogramma paesaggio. E' come se queste persone, nel cuore della loro analisi, volessero portare uno sguardo sul loro genogramma, volessero approfondire qualcosa di specifico sul transgenerazionale. Quindi, io li prendo in carico per un breve periodo. Di lì si parte per fare un lavoro approfondito sul genogramma.            
E' possibile risalire molto indietro con le generazioni attraverso il genogramma paesaggio?  Intanto le persone dicono quello che si ricordano. Ci sono persone che a volte hanno già preparato qualcosa. Per esempio qualcuno si è fatto fare il genogramma, oppure altri sono stati in terapia familiare e, quindi, hanno già lavorato su alcuni aspetti. Una cosa interessante è quando sono stata in Bulgaria, all'inizio le persone mi parlavano solo di loro e dei loro genitori. A mano a mano che, grazie al cambiamento socio-politico, a loro è stato permesso di raccontare qualcosa del loro passato sono arrivati a parlarmi dei nonni. Spontaneamente non ne parlavano, quando c'è stata la possibilità di parlare con più libertà allora si è potuto andare più indietro. All'interno di una stessa terapia si possono fare diversi genogrammi paesaggio. Quando si fa il genogramma paesaggio si deposita qualcosa, poi ci sono delle questioni che da lì emergono. A quel punto le persone, o le famiglie, vanno a visitare i loro genitori o i loro nonni che magari gli raccontano qualcosa dei trisnonni o di altri antenati ed è così che si arriva alla quarta o alla quinta generazione.Salvo se uno sa che il suo bisnonno, per esempio, era un figlio naturale, allora se ne può parlare subito.
Bisogna, però, sottolineare che non è un obbligo andare tanto indietro, ma se abbiamo un'ipotesi interpretativa e sappiamo che è successo qualcosa nelle generazioni anteriori che ha avuto degli effetti nella vita presente della persona, allora ha senso tornare molto indietro.C'è un'autrice, Chantal Rialland, che dice, secondo quanto io ho capito del suo libro, che quando si trova nella storia familiare la persona che ti ha fatto soffrire il paziente si libera dei suoi problemi. Io non penso che le cose siano così semplici. Sarebbe come dire che se dissotterriamo i nostri avi ci sentiamo meglio. Io e il mio collega non siamo di questa corrente. Io, invece, mi riferisco, per esempio, ad Abraham e Torok, che hanno parlato di cripte e di fantasmi che si trovano nelle storie familiari. In questo senso, penso, che sia necessario vedere in quale dinamica familiare un particolare avvenimento è diventato un fantasma e in quali circostanze e modalità qualcosa delle regole familiari si è ripetuto e continua a ripetersi. Tutto ciò significa che, ad esempio, nella generazione dei genitori delle persone con le quali io lavoro, questi fantasmi sono ancora vivi e vengono ancora trasmessi al paziente. E' molto interessante analizzare simili aspetti anche con lo psicodramma perché, nello psicodramma, viene messo in gioco il corpo, si mette insieme qualcosa di psichico e si mette in scena qualcosa del legame e della relazione ed è così che qualcosa può emergere. Può emergere un'emozione che può darci una rilettura dell'avvenimento che opprime la persona.              

Nel suo articolo intitolato «Il lavoro sulle famiglie di origine con il genogramma-paesaggio e con lo psicodramma» lei fa riferimenti teorici alla terapia della famiglia e in particolare a Szondi e Bowen. Quali sono i riferimenti alla teoria jungiana e allo psicodramma per ciò che riguarda il genogramma-paesaggio?
  I riferimenti a Szondi e Bowen li ho inseriti nell'articolo perché Szondi parlava delle relazioni e dell'ambiente familiare e designava già prima del 1940 la sua opera come “psicologia delle azioni di scelta”. Anche Bowen dava molta rilevanza alla famiglia e, soprattutto, per primo introdusse il genogramma in terapia in principal modo a scopo diagnostico. Ho, invece, evidenziato meno i riferimenti a Jung e allo psicodramma perché i lettori a cui era rivolta la rivista erano perlopiù legati alla scuola sistemica. Però, quando sono venuta a Torino a fare il genogramma paesaggio, alcuni miei colleghi junghiani mi hanno detto che ero molto sensibile alla sincronicità junghiana e a volte sono proprio loro che mi dicono che sono junghiana.

Andolfi M., Angelo C., Tempo e mito nella psicoterapia famigliare, Torino, Bollati Boringhieri, 1987.    
Andolfi M., La famiglia trigenerazionale, Roma, Bulzoni, 1988.    
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Bowen M., Dalla famiglia all'individuo, Roma Astrolabio, 1979.  
Gasca G., L'olio della vita: viaggi transgenerazionali del femminile visti attraverso lo psicodramma, in Druetta V. (a cura di), Il sogno del femminile il femminile del sogno. Percorsi di trasformazione attraverso i gruppi, Milano, Franco Angeli, 2001, p. 60-76.  
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Pluymaekers J, Neve Hanquet C., Il lavoro sulle famiglie di origine con il genogramma-paesaggio e con lo psicodramma, in Psicodramma Classico, 2001, n.3, p. 69-79.